«L’ARTE NON E’ CASTA, SE LO FOSSE NON SAREBBE ARTE» Pablo Picasso

– 1788 – British Museum – Londra
Nella nostra civiltà occidentale si parla molto di arte giapponese in tutte le sue manifestazioni, dalle ceramiche, ai dipinti, ai tessuti, ai paraventi, agli arredi ma si sorvola velocemente, se non addirittura si ignorano volutamente gli Shunga.
Ma di cosa esattamente si tratta?
Gli shunga sono dei dipinti, delle xilografie soprattutto, realizzate in Giappone nel periodo EDO (dal nome della capitale, l’odierna Tokyo) detto anche periodo Tokugawa, dal nome della famiglia regnante, che copre un periodo temporale dal 1600 al 1868.
Il termine Shunga tradotto, vuol dire “pittura della primavera”, un modo delicato e poetico per definire l’atto sessuale. Gli shunga appartengono al genere di stampa Ukiyo-e che significa “immagini del mondo fluttuante”, una forma artistica che fiorì nel periodo EDO nelle città di Edo (Tokyo) Osaka e Kyoto e che si riferisce alla cultura giovane, impetuosa, nuova dell’epoca, una concezione edonistica dell’esistenza in un fluttuare di piaceri per allontanare la malinconia della realtà e del dolore.
Le opere Ukiyo-e erano per lo più realizzate in xilografie, ovvero stampe impresse su blocchi di legno per poi essere riportate su seta o carta in maniera seriale. Inizialmente monocromatiche, vennero in seguito arricchite di colori più o meno sgargianti.

Caratteristica dello stile Ukiyo-e è l’assenza della prospettiva, la mancanza di ombre unite a minime sfumature di colore.
I soggetti erano prevalentemente paesaggi, natura, quartieri, contenuti a carattere erotico e argomenti teatrali con esplicito riferimento al teatro Kabuki, il cui significato si esplica nelle tre parole ka (canto), bu (danza), ki (abilità): espressione artistica dell’epoca, riflesso del pragmatismo della potente ascendente classe mercantile e artigiana degli Chōnin, in netta contrapposizione con la ieratica, compassata alta aristocrazia.


Libreria Yamada Shoten – Tokyo
Era l’epoca in cui a Edo (Tokyo) stavano avendo sempre maggior successo i quartieri del piacere come Yoshiwara, dove le nuove cortigiane creavano nuovi canoni di gesti e comportamenti con un’eleganza vistosa ed opulenta, basata sull’essere alla moda, sulla difficile arte di attrarre e di respingere al tempo stesso.
Le case di piacere si trasformarono evolvendosi da miseri bordelli in veri e propri salotti dove si incontravano in incognito non solo mercanti ma anche aristocratici, attori, letterati, tutti liberi dal rigore protocollare della loro quotidianità. Proprio in quelle case l’etichetta della seduzione si esprimeva attraverso un canone formale di altissima perfezione e al tempo stesso di naturalezza. Donne maestre nello stile calligrafico, nella composizione floreale e nei segreti dell’amore e della seduzione, cortigiane inaccessibili alla maggior parte della popolazione; solo gli uomini molto ricchi potevano sperare di usufruire dei loro servizi e frequentare le case di piacere.

Tra i più importanti esponenti dell’Ukiyo-e troviamo pittori del calibro di Kitagawa Utamaro, Higashisusai Sharaku, Katsushika Hokusai, Utagawa Hiroshige e Utagawa Kuniyoshi.

Tra il 1760 e il 1790 artisti come Koryusai, Kiyonaga e Shunchō, utilizzano un linguaggio “colto”, ricco di citazioni letterarie dell’epoca, per descrivere l’ideale femminile del loro tempo.
Utamaro stupiva per le raffigurazioni delle cortigiane dai tratti finissimi, con ovali delicati simili a bambole di porcellana, elevandole a icone femminili.
“Gli Shunga non vivono di inibizioni né da atteggiamenti sessuofobici del cristianesimo o dell’islam, si presentano come un mondo fantastico di gioia sessuale goduto da entrambi i sessi, né il peccato vi trova collocazione. Viceversa subentrano il piacere femminile, la tenerezza e la bellezza” – Carlo Franza – storico e critico d’arte –

Qualche anno più tardi gli artisti Hokusai, Kunisada e Kuniyoshi, con linee nervose e concitate creavano vivaci campiture cromatiche, inquadrando figure e scene di un erotismo se vogliamo aggressivo precorrendo esteticamente i tratti decadenti della cultura giapponese dell’epoca Meiji.
Questi grandi pittori non avevano nessun problema nel dipingere gli shunga perché per loro, dipingere un’onda piuttosto che un albero o uno shunga era esattamente la stessa cosa, a dimostrazione che l’amore, anche nella sua massima sensualità, assurge ad una sorta di sacralità concepita come un tutt’uno che abbraccia perfettamente il concetto orientale di vita.
Realizzati generalmente in serie di dodici, come i mesi dell’anno, gli Shunga, tramite le immagini, promuovevano una visione positiva del piacere sessuale.
Sono stampe erotiche risalenti fino al 1600, dipinte su seta e spesso in piccolo formato, raramente in rotoli. Gli shunga erano riservati principalmente agli ambienti di corte, ai samurai e destinati anche all’istruzione erotica delle future spose. I protagonisti degli shunga non sono solo cortigiane e i loro clienti, ma anche coppie di sposi o di amanti. Il possedere intere collezioni di opere d’arte shunga era una normale consuetudine anche per le famiglie più rispettabili, custodite come tesori preziosi. Erano anche considerati amuleti contro la sfortuna e le disgrazie.
Gli shunga ci mostrano il concetto di bellezza dell’epoca e del Giappone, in quasi tutti i dipinti i protagonisti sono riccamente vestiti perché era considerato molto più eccitante un piccolo lembo di pelle intravisto tra i tessuti di un kimono che la nudità completa. I genitali vengono appositamente dipinti con una grandezza spropositata rispetto ai personaggi per sottolineare che essi sono i veri protagonisti del dipinto.
Gli shunga avevano anche una chiara funzione apotropaica nel suo significato più profondo: erotismo uguale a vita, guerra uguale a morte; per questo motivo venivano sempre posti arrotolati nella casse dei samurai quando andavano in guerra, praticamente una sorta di porta-fortuna dell’epoca. Negli shunga, oltre all’erotismo esiste una profonda ricerca pittorica degli abiti, dei tessuti e degli ambienti, in un profondo percorso tanto creativo quanto estetico.


“[..] è la raffinatezza del tocco pittorico, la grazia infinita dei corpi distesi nel piacere amoroso, che non ci fa percepire alcunché di volgare. Gli artisti Shunga seppero descrivere le espressioni degli amanti con poesia, svuotando la scena di ciò che di animalesco può esserci nell’essere umano, dando la rappresentazione di una sensualità quasi eterea, e perciò molto distante dalla più reale, forse diremmo pornografica, rappresentazione drammatica della sessualità [..]”. Gian Carlo Calza curatore della mostra – Giappone Potere e Splendore 1568/1868 – Palazzo Reale Milano dic. 2009-marzo 2010

Kuniyoshi, Tsukushi - La diga di Matsu Fuji nel Kyûshû, (1830)

Suzuki Harunobu 1725-1770-Cattiva-condotta-sessuale-dal-libro-Alla-moda-Lusty-Maneemon-libro-stampato-in-legno-inchiostro-e-colore-su-carta-HONOLULU-MUSEUM-OF-ARTS.jpg

Harunobu 1725-1770 Amanti di una veranda Honolulu Museum of Arts .jpg

Utamaro -
Con i loro tratti delicati, i colori sgargianti dei kimono e gli arabeschi dei corpi avvinghiati, gli shunga hanno notevolmente influenzato anche pittori quali Tolouse Lautrec, Rodin, Egon Schiele, Klimt e Picasso.



Ne recano l’inconfondibile impronta le incisioni più tarde di Picasso, con Minotauri e modelle impegnati in contorsionistici amplessi, in una versione dell’erotismo sicuramente più colta e raffinata, pare che Picasso acquistò numerose stampe shunga giapponesi, opere dalla linea fine e vigorosa, dai colori sontuosi e stranezze compositive.

E’ probabile che Picasso, osservando uno shunga, pensasse. “Non posso dire che se il mio viso è rivolto in questo modo anche i miei piedi non possano essere rivolti nella stessa maniera!”
C’è una teoria secondo cui il cubismo di Picasso (una tecnica per mettere oggetti da varie angolazioni su un unico piano) non sarebbe stato possibile senza gli shunga o “i dipinti di primavera”. In effetti, una mostra è stata organizzata nel 2010 al Museo Picasso in Spagna con il tema di “Picasso e la pittura di primavera”.

Descrizione delle opere contrassegnate con asterisco *
1) Hiroshige e Kunisada. – Veduta con la neve -1853 – trittico di ōban – Museum of Fine Arts, Boston
2) Kunisada – Eastern Genji: Il giardino innevato (Azuma Genji yuki no niwa) – 1854 – Museum of Fine Arts, Boston
Bibliografia:
Gian Carlo Calza – Giappone, Potere e Splendore 1568-1868 – Federico Motta Editore 2009
Ringrazio Gianni Crespi per la sua gentile consulenza.
©Giusy Baffi 2020
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