All’opposto dell’architettura razionalista e rigorosa, il decostruttivismo è il movimento che caratterizza l’architettura moderna, attraverso una ricerca continua di forme e strutture libere, esasperate in spettacolari incrinature, decentramenti e dissimetrie, forme come espressione di una contemporaneità instabile.
Si viene così a creare un codice compositivo del tutto innovativo, che, grazie all’aiuto del computer e dei nuovi materiali tecnologicamente avanzati come acciaio, vetro e cemento, utilizza prospettive multiple per rappresentare un nuovo modo di vedere, trasformandosi così in un modello alternativo alle regole progettuali.
L’architettura decostruttivista, che ha le sue origini nelle avanguardie pittoriche del primo ‘900, dal futurismo alle avanguardie russe di Malevich, Mondrian e Kandinsky; si potrebbe semplificare come l’architettura senza geometrie, un’architettura euclidea.
Liberatosi dal rigore cartesiano, che attribuisce agli oggetti confini e posizioni precise ed immutabili, il decostruttivismo diventa spazio in evoluzione, la cui forma si definisce e si trasforma con un occhio attento e presente sull’arte concettuale, in una costante ricerca tra opposti e discipline solo apparentemente distanti dall’architettura tradizionale (semantica, linguistica, estetica).
L’architettura decostruttivista rimane di fatto l’ultima corrente culturale del ‘900, nata intorno agli anni ’80 del secolo scorso.
I massimi esponenti di questa architettura, pur con enormi differenze tra di loro, sono Frank O. Gehry, Daniel Libeskind, Rem Koolhaas, Zaha Hadid, Peter Eisenman, il gruppo Coop Himmelb(l)au e Bernard Tschumi.

Bernard Tschumi - Binhai Cultural Center - Tianjin (Cina)- 2019


Peter Eisenman - Città della Cultura - Galizia 2011 - ©Courtesy of Eisenman Architects

Peter Eisenman - Residenze Carlo Erba - Milano 2019 ©Courtesy of Eisenman Architects

Peter Eisenmann - University Phoenix Stadium

Coop Himmelb(L)au - Ufa Cinema Center - Dresda - ©Duccio Malagamba

Coop Himmelb(L)au - Musée des Confluences - Lyon -

Daniel Libeskind - Ontario Museum – Chicago –

Zaha Hadid - MAXXI - Roma

Zaha Haid - Heydar Aliyev Center - Baku, Azerbaigian - (EPA/ROBERT GHEMENT)
Il manifesto della decostruzione architettonica è rappresentato dal lavoro di Bernard Tschumi con il progetto del Parc de la Villette a Parigi nel 1983.
Il nuovo parco nasce dalla sovrapposizione di tre strati, tre sistemi autonomi che evocano la teoria di Kandinsky su punto, linea e superficie: i punti rossi, chiamati Folies, sono formati da una serie di oggetti architettonici rivestiti in lamiera rossa, le linee sono i percorsi evidenziati da pensiline metalliche, che disegnano una trama per addentrarsi nel parco, le superfici sono ricavate dallo spazio rimanente dovuto all’intersezione dei diversi percorsi ed è costituito da aree di prato.

“L’architettura, credo, è necessaria per segnare la memoria collettiva.” Peter Eisenman
Le architetture di Peter Eisenman sono alla ricerca di nuovi itinerari creativi, di una nuova geometria della forma e dello spazio, di un’organicità intrinseca, con progetti unici ed irripetibili nella apparente casualità compositiva di una forma in divenire, sperimentando in modo visionario il rapporto tra forma, tecnologia e luce.
Suo è il memoriale dell’Olocausto a Berlino, costruito con 2.711 lastre di cemento grigio di diverse altezze, disposte su un sito di 19.000 metri quadrati. Il memoriale è in leggera pendenza e la sua forma ondulata è diversa ovunque ci si trovi, dando la sensazione di “essere perso nello spazio nel tempo”.


Daniel Libeskind, altro architetto decostruttivista, è stato allievo di Eisenmann alla Cooper Union for the Advancement of Science and Art University di New York.
Il suo filo conduttore è la progettazione di un’architettura drammatica in rapporto con la Storia. L’effetto drammatico viene ottenuto con i suoi tagli trasversali, piani inclinati, i percorsi a zig-zag.
https://www.giusybaffi.com/daniel-libeskind-archistar-del-nostro-tempo/
Frank Ghery mette a punto un nuovo modo di progettare, scomponendo i volumi in forme irregolari attraverso un gioco complesso di compenetrazione fra di essi con spigoli e tagli, creando effetti plastici in un continuo gioco di pieni e di vuoti.

Altro elemento tipico del decostruttivismo è quello di interpretare l’architettura come un’organizzazione stratificata, Zaha Hadid è l’esempio più concreto di questa nuova concezione di stratificazione degli edifici; Zaha Hadid gestisce l’architettura come un organismo complesso, leggibile attraverso diversi strati interconnessi tra di loro e dando importanza all’irrazionalità; la sua è un’architettura frammentata, scomposta in vari elementi non ortogonali i cui spazi interni sono come svuotati, intervallati e interconnessi tra loro attraverso un sapiente uso di passerelle.


Le stesse linee sinuose con tagli verticali creano all’interno una serie di suggestioni visive, un’ispirazione a forme organiche e continue, dove una forma si evolve e si involve l’una nell’altra senza una cesura netta fra di esse.

https://www.giusybaffi.com/zaha-hadid-un-linguaggio-architettonico-di-fluidita-e-natura/
Rem Koolhaas è l’architetto più razionalista del decostruttivismo, ma di lui se ne parlerà in maniera più dettagliata prossimamente.
https://www.giusybaffi.com/rem-koolhaas-una-personalita-poliedrica/
https://www.giusybaffi.com/rem-koolhaas-una-personalita-poliedrica-seconda-parte/
https://www.giusybaffi.com/rem-koolhaas-una-personalita-poliedrica-terza-parte/
https://www.giusybaffi.com/education-city-a-doha-quando-larchitettura-si-fonde-con-la-conoscenza/

Sintetizzando, i temi fondamentali del decostruttivismo sono le superfici esterne concepite come una pelle architettonica che si evolve senza cesure, l’uso interno di una spazialità continua, senza la frammentazione dei locali, la creazione di geometrie complesse in frammentazioni drammatiche, il tutto in una continua sperimentazione che va oltre qualsiasi regola ed una percezione plastica-scultorea i cui elementi riescono a diventare organici. In pratica, eliminando completamente la rigidità modernista si raggiunge, con l’architettura decostruttivista, una rappresentazione dinamica del concetto di movimento.
Bibliografia:
Mark Wigley, The Architecture of Deconstruction: Derrida’s Haunt – Mark Wigley edizioni
Paolo Roseti, La decostruzione e il decostruttivismo. Pensiero e forma dell’architettura – Edizione Gangemi
Delfo Del Bino, Decostruttivismo e architettura – Pontecorboli editori
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